E-CONFERENCE

Un ponte tra formazione e mondo del lavoro

conferenza elettronica


DOCUMENTO DI DISCUSSIONE
(parte prima)


Il presente documento è uno strumento per favorire la discussione in occasione dei seminari di consultazione previsti dal progetto, che, come detto, vedranno la partecipazione di operatori e funzionari del mondo della formazione.

Il documento comprende alcuni spunti di riflessione sul rapporto tra internship e inclusione sociale, che riguardano, in particolare:

  • la questione della relazione tra formazione e lavoro, con riferimento ai cambiamenti del mercato del lavoro e ai nuovi rischi sociali che si presentano, alla diffusione dell’apprendimento lavorativo e ad alcune difficoltà applicative di tale approccio (prima parte);
  • una proposta rivolta ai formatori, imperniata su una strategia di “mediazione” sociale, su una metodologia centrata sull’internship e su una politica di responsabilizzazione degli attori sul territorio circa la formazione (seconda parte).

Per ciascuno di questi aspetti si presentano un inquadramento del tema e una serie di questioni aperte, sulle quali si chiede il punto di vista dei partecipanti e anche, eventualmente, specifiche informazioni.


Formazione e lavoro: come chiudere il cerchio?

Questa riflessione comune, si colloca in un quadro di notevoli trasformazioni, che sembra caratterizzato da almeno tre aspetti:

  • i profondi cambiamenti del mercato del lavoro,che creano nuove opportunità, ma anche nuovi rischi di abbandono e di esclusione, sfidando così le politiche sociali, e quelle formative in particolare;
  • la ricerca di efficaci forme di sostegno e di accompagnamento per gli individui, anche sul piano della formazione, con la conseguente diffusione di approcci come quello dell’apprendimento lavorativo;
  • le difficoltà rilevate nell’uso degli strumenti di apprendimento lavorativo (come l’internship), per via della complessità dei fattori da gestire.

Vale la pena di approfondire ciascuno di questi tre aspetti.


Mercato del lavoro e rischi sociali

Si assiste oggi a una serie di profonde trasformazioni dei sistemi economici (quali l’aumento di peso della conoscenza, la globalizzazione economica e finanziaria, la crescita del settore dei servizi, l’emergere di una struttura di produzione “a rete”) e di altrettanto profondi cambiamenti nel mercato del lavoro.

Tra questi ultimi, vi sono la diminuzione della stabilità occupazionale, l’aumento del tasso di partecipazione delle donne alla forza lavoro, la diversificazione delle forme di lavoro (con una maggiore diffusione dei lavori part-time e temporanei), la riduzione dei tassi di disoccupazione e di quelli di disoccupazione di lunga durata, una maggiore diffusione dell’auto-impiego, la diversificazione dei profili professionali richiesti dal mercato.

In questo quadro, come è noto, gli esseri umani, con le loro conoscenze e competenze, sono diventati la principale risorsa per lo sviluppo. Tuttavia, troppo spesso la loro condizione è caratterizzata da una eccessiva instabilità nel lavoro, da un’assenza di prospettive di miglioramento della condizione lavorativa, da percorsi lavorativi troppo incoerenti, o da difficoltà di accesso al mercato del lavoro tout-court. Tutto ciò comporta forti rischi sul piano dell’esclusione sociale e rappresenta una sfida per le politiche sociali. In effetti, queste trasformazioni mostrano quanto sia necessario e urgente “chiudere il cerchio”, cioè mettere in atto un reale collegamento (un ponte!)tra la formazione e il lavoro, assicurando un futuro professionale alle risorse umane, comprese quelle più esposte all’esclusione.


La diffusione dell’apprendimento lavorativo

In relazione al quadro appena tracciato, ci si domanda se le politiche sociali che presiedono al rapporto tra formazione e lavoro non debbano garantire specifiche forme di sostegno alle persone e un loro accompagnamento, all’interno di un percorso professionale che è, spesso, troppo precario e discontinuo.

A tale riguardo, da tempo l’attenzione si concentrata sull’experiential learning (o apprendimento lavorativo). L’apprendimento lavorativo, come è noto, è il processo attraverso il quale il discente costruisce conoscenze, competenze e capacità sulla base delle esperienze dirette, ad esempio mediante stage, il tirocinio (formativo e di orientamento), l’apprendistato, l’internship (o internato).

Questo approccio mira a consentire, non solo ai giovani, ma anche a un’area più vasta di soggetti a rischio di esclusione, di acquisire nuove conoscenze professionali e nuove competenze tecniche. Si è rilevato, specificamente, che l’internship consente di vivere un’esperienza molto personalizzata e vicina alla effettiva realtà del lavoro e di assumere conoscenze dirette sul lavoro (e sui fattori di segregazione attivi nel contesto professionale, nonché sui fattori di facilitazione), che sarebbe impossibile acquisire altrimenti, per via del carattere tacito, dinamico e situazionale della conoscenza, ben analizzato dalle teorie del knowledge management. Tale modalità di apprendimento appare, poi, particolarmente adatta alle esigenze e alle modalità di apprendimento di soggetti adulti. Inoltre, rispetto ad altri approcci, permette ai partecipanti di mettersi alla prova, di aumentare la conoscenza di sé e il senso di auto-stima. Alle imprese, infine, l’internship può consentire di selezionare in modo efficace il personale e di esercitare un ruolo di maggiore responsabilità sociale nel territorio.

I metodi utilizzati in questo campo sono stati oggetto di critiche, quali lo scarso rigore metodologico, lo spazio eccessivo dato agli stati emotivi rispetto ai contenuti dell’apprendimento, i costi e i tempi elevati (v. anche dopo). Nonostante ciò, strumenti come l’internship, gli stage, i tirocini, ecc. sembrano per molti costituire, a tutt’oggi, la modalità migliore di inserimento lavorativo di soggetti a rischio di esclusione sociale.

Questi strumenti sono diventati da diversi anni un oggetto di particolare interesse, anche nel nostro Paese. Ciò è testimoniato dalle normative elaborate (al livello nazionale e regionale, anche su impulso della Commissione Europea), oltre che da numerose sperimentazioni effettuate, spesso con impatti importanti sull’occupazione. Tali sperimentazioni riguardano l’integrazione – potremmo dire un “ponte” – tra formazione professionale, istruzione e politiche del lavoro, che richiede il coordinamentotra diversi attori, quali le istituzioni formative, le aziende, il sistema dei servizi sociali (soprattutto i centri per l’impiego) e altri ancora.


Le difficoltà applicative della internship

Molte iniziative di formazione svolte in Italia, che hanno utilizzato forme di apprendimento lavorativo per l’inclusione sociale di soggetti a rischio (ad esempio, per la lotta contro la discriminazione di genere), hanno spesso mostrato serilimiti.

In effetti, queste attività formative hanno frequentemente corso il rischio di risultare una sorta di corpo estraneo rispetto alle organizzazioni ospitanti, restando così a uno stadio di mera simulazione. D’altro canto, il più delle volte hanno avuto la tendenza a focalizzarsi solo sugli aspetti tecnico-professionali dell’esperienza lavorativa, tralasciando o sottovalutando gli aspetti del lavoro più direttamente connessi con le specificità (culturali, di genere, motivazionali, ecc.) dei soggetti ospitati, così come importanti fabbisogni (sul piano della conoscenza, dell’identità professionale, del contatto con la realtà, ecc.) di cui tali soggetti sono portatori.

Inoltre, le esperienze già effettuate in questo campo hanno mostrato la complessità e quindi le difficoltà di applicazione dell’apprendimento lavorativo. Tale approccio, infatti, presenta aspetti da considerare e gestire con attenzione, quali: la disponibilità, le motivazioni e le competenze dei soggetti coinvolti; il consenso e la disponibilità delle imprese; il quadro giuridico che regola l’apprendimento lavorativo; la capacità delle agenzie formative di far coincidere le attese dei soggetti in formazione con quelle delle imprese; la qualità dei tutor; il grado di fiducia tra persone in formazione e formatori; la capacità di attuare forme adeguate di monitoraggio e di valutazione e altro ancora.

QUESTIONI
  1. Quali possono essere, a vostro parere, le condizioni per garantire un più stretto rapporto tra formazione e lavoro, soprattutto per i soggetti maggiormente vulnerabili?

  2. Qual è, in generale, la diffusione dell’apprendimento lavorativo, e in particolare dell’internship, nel territorio ove operate (al livello regionale, provinciale, comunale o altro)?

  3. Potete segnalare alcune esperienze che, a vostro parere, sono particolarmente significative?

  4. Potete indicare le organizzazioni o comunque i soggetti più interessati a tale approccio?

  5. Potete indicare anche i metodi maggiormente praticati e, in particolare, quelli di maggiore efficacia?

  6. A vostro giudizio, esiste una conoscenza sufficiente di tale approccio tra gli operatori della formazione?

  7. Sulla base di quanto sin qui sperimentato, l’internship può risultare un reale strumento di sostegno dei beneficiari e di un loro accompagnamento verso il mercato del lavoro?

  8. Potete indicare i principali fattori di ostacolo (sul piano teorico, metodologico e tecnico) al fatto che l’internship possa produrre seri impatti formativi e rappresenti un ponte tra formazione e lavoro?

  9. Potete indicare anche, al contrario, i fattori di facilitazione?

  10. Lo strumento dell’internship, a vostro parere, è concretamente praticabile su vasta scala?

(parte seconda)

Quale proposta?

Tenendo conto della situazione e delle questioni aperte appena descritte, si può pensare a una proposta, rivolta particolarmente ai formatori e agli attori con i quali essi interagiscono. La proposta si basa su tre “pilastri”, sui quali si intende lanciare una riflessione comune tra tutti coloro che sono interessati, in varia misura, al delicato tema del rapporto tra formazione e lavoro. I “pilastri” sono:

  • una strategia della “mediazione” sociale;
  • una metodologia centrata su una particolare impostazione dell’internship;
  • una politica tesa alla responsabilizzazione degli attori sul territorio circa la formazione delle risorse umane.


Mediazione

Per connettere realmente il mondo della formazione con quello del lavoro, nel contesto attuale, sembra opportuna una strategia di “mediazione sociale” .

Il concetto di mediazione, molto utilizzato soprattutto all’estero, è da tempo al centro dell’attenzione degli studi sociologici e psicologici, ad esempio quelli che riguardano il sostegno all’apprendimento attraverso figure come i tutor, le gestione delle conoscenze all’interno di una organizzazione, il capitale sociale e le relazioni di fiducia su un territorio dato, ecc. Inoltre, la mediazione in quanto prassi è piuttosto diffusa nel quadro delle politiche sociali (si consideri, ad esempio, la figura del “mediatore culturale” o le varie modalità di gestione e soluzione dei conflitti, compresi i micro-conflitti all’interno di una organizzazione, o tra determinati gruppi umani in un territorio dato). C’è da domandarsi se il concetto di mediazione non riassuma efficacemente una serie di orientamenti e di prassi già diffuse tra gli operatori e i funzionari della formazione o che, comunque, possono entrare a far parte in maniera più stabile del loro modello professionale.

Mediazione può voler dire, ad esempio, collegare organizzazioni e persone presenti su un dato territorio (istituzioni formative, aziende, centri per l’impiego, sindacati, agenzie e professionisti della formazione, ecc.), mettere a confronto e integrare le loro diverse culture e i loro modi di intervento, prevenire eventuali conflitti, facilitare l’attuazione delle politiche e delle decisioni, favorire l’attivazione delle risorse materiali e umane. Sul piano didattico , inoltre, mediazione può significare, ad esempio, aiutare gli allievi a connettere e a rielaborare in modo personalizzato diversi saperi ed esperienze.

Il concetto di mediazione può forse risultare di particolare utilità, se si considera il fatto che gli individui, oggi, rischiano spesso di perdere progressivamente la loro capacità di controllare l’ambiente professionale e di vita, e di esporsi in misura crescente alle dinamiche dell’esclusione sociale. In questo quadro, infatti, è possibile che le persone sperimentino da soleil drammatico ingresso nel mercato del lavoro, subendo vere e proprie forme di “abbandono”. È necessario, quindi, prevenire tale fenomeno, assicurando – ed eventualmente potenziando – strutture di sostegno e di protezione come quelle garantite da una vasta gamma di soggetti pubblici e privati (i servizi per l’impiego e di orientamento, gli uffici di consulenza, le organizzazioni collettive quali i movimenti dei consumatori, i sindacati e altri ancora).

Si può, dunque, intuire la potenzialità di una strategia di mediazione , se applicata all’ apprendimento lavorativo : essa può permettere un coinvolgimento collettivo nel passaggio dalla formazione al lavoro e un accompagnamento dei beneficiari nel corso di tale passaggio, a prescindere dal fatto di instaurare con costoro un successivo rapporto di lavoro. In questo modo, può essere svolto un ruolo fondamentale di sostegno e di salvaguardia delle risorse umane , favorendo la loro inclusione sociale.


Internship

Per porre in atto una strategia di mediazione occorre dare una adeguata impostazione all’apprendimento lavorativo, in modo che possa diventare un vero e proprio “ponte” tra formazione e lavoro. La proposta che questo progetto fa ai formatori è quella di utilizzare il “Modello di Internship Partecipata” (MIP), che è già stato adottato in alcuni progetti del CERFE e di altri enti ad esso collegati.

Il MIP è caratterizzato da alcuni elementi, qui descritti per sommi capi, che sembrano indispensabili per la produzione di effettivi impatti sul piano formativo, e su quello del rapporto tra formazione e lavoro.

Innanzitutto, il modello ha tra i suoi principi quello di rendere l’internship rivolta a soggetti a rischio di esclusione una sorta di “camera di compensazione”, cioè un ambiente in qualche misura protetto (anche se reale), ove si bilancino l’orientamento all’inserimento lavorativo dei beneficiari e le tendenze alla segregazione presenti sul lavoro. Per fare ciò, occorre una vera e propria opera di mediazione, che comporta anche il pieno e consapevolecoinvolgimento di vari attori (i soggetti in formazione, le agenzie formative, le organizzazioni ove si svolge l’internship ed eventualmente altri). Questi attori devono stipulare un accordo, coordinando idee, motivazioni e risorse.

Inoltre, occorre non lasciare nulla al caso. Il MIP prevede, quindi, una forte strutturazione delle procedure, attraverso la programmazione di ogni componente e fase dell’internship e la definizione di tecniche di intervento condivise dagli attori, in modo che l’intera azione risponda a determinati standard qualitativi. Ciò comporta un accompagnamento ad hoc per i beneficiari, con specifiche modalità di sostegno (tutoring, mentoring, attività di formazione d’appoggio). Sono indispensabili, a questo proposito, un monitoraggio costante, attività di valutazione in corso d’opera, la creazione e la gestione di una sala operativa. Tutto questo richiede, ovviamente, un’attività di progettazione a vari livelli: impatti, strategie e percorsi formativi, didattiche, tecniche e strumenti, fasi.


Responsabilità formativa

Per far sì che si possa adottare una strategia di mediazione da attuare tramite lo strumento della internship, è importante, inoltre, che si costituisca una rete degli attori che hanno a cuore la creazione di un effettivo ponte tra la formazione e il lavoro.

Come si è detto, infatti, la messa in opera di progetti di internship richiede una forte e condivisa volontà, da parte di tutte le organizzazioni che, in un modo o nell’altro, coordinano o gestiscono il sistema della formazione, o sue specifiche componenti, in un territorio dato.

C’è da chiedersi, in particolare, se non sia da promuovere una politica di “responsabilità formativa”, o di “responsabilità territoriale della formazione”. Ciò comporterebbe - come già in alcune esperienze è stato fatto - la sensibilizzazionee il coinvolgimento, in una rete di scambio e collaborazione, dei soggetti che sul territorio hanno un ruolo (diretto o indiretto) nella formazione di persone a rischio di esclusione, o nel collegamento tra la formazione e il mercato del lavoro.

QUESTIONI

(si prosegue la numerazione, rispetto alla prima parte del documento)

11. Una strategia legata alla “mediazione”, rispetto ai problemi della relazione tra formazione e lavoro, è pertinente e praticabile?

12. L’apprendimento lavorativo può essere o meno un luogo di applicazione di una strategia di questo tipo?

13. Qual è il ruolo che i formatori possono giocare in tal senso? E a quali condizioni?

14. Sulla base della sia pur sommaria descrizione del Modello di Internship Partecipata (MIP), quali sono le sue componenti (ad esempio, la formalizzazione dell’accordo tra gli attori, la strutturazione delle procedure, ecc.) che, di solito, vengono trascurate nella prassi dell’apprendimento lavorativo? E quali quelle più tenute presenti?

15. Quali sono i pro e i contro da voi rilevati nell’applicazione dei vari approcci e metodi di apprendimento lavorativo in Italia?

16. Come individuare gli attori effettivamente portatori di un orientamento favorevole, e soprattutto attivo, nei confronti del collegamento tra formazione e lavoro, in particolare per i soggetti più svantaggiati?

17. Quali strumenti possono essere più adeguati per un’opera di sensibilizzazione e di coinvolgimento di tali attori?

18. In che modo possono essere identificate e formalizzate modalità di collaborazione, di partnership, o addirittura di coalizione tra questi attori?

19. Che tipo di orientamento nei confronti dell’apprendimento lavorativo avete potuto rilevare presso i soggetti a rischio di esclusione sociale?

20. Quali esperienze già effettuate, a vostro parere, possono essere considerate come un utile punto di riferimento in questo quadro?


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